LO ZEN E L'ARTE DI PULIRE CASA
Questo articolo pubblicato da Repubblica in un inserto del 4 Aprile è di Michele Serra che, con le sue parole, è riuscito a trasmettere una grande verità che mi ha colpito. Per questo motivo ho deciso di pubblicare qui il suo articolo per dare la possibilità a più persone di leggere queste meravigliose parole.
"Rete e Ramazza. É per merito di questo inedito duumvirato che noi stiamo sopravvivendo. La rete mantiene vivi i contatti umani: il fuori. La ramazza mantiene indenne e abitabile la tana: il dentro.
Dell’importanza della rete già si sapeva. Non si parla d’altro, negli ultimi anni. Come se altro più non esistesse (comprese la malattia e la morte). Della ramazza invece si era un poco perduto il senso, avendone delegato l’uso, nella maggioranza delle case, nei negozi, nei locali pubblici, a mani salariate, molto spesso immigrate. E comunque mai immaginandone una possibile “modernità”, nella convinzione che siano inevitabili il declino del lavoro manuale, la de-antropizzazione di quasi tutte le attività,la smaterializzazione del mondo.
Era un falso paradigma: la zappa, il badile, la vanga, il piccone, la scopa, il secchio, il cacciavite, la benna, la pinza, la cesoia, la sega, l’immensa fanteria degli utensili grandi e piccoli continuava a mandare avanti il mondo anche prima che il mondo collassasse, circa un mese fa. Ma un conto era sentirselo raccontare dalle statistiche, che ben più di metà degli esseri umani non solo lavora con le proprie mani, ma sopravvive grazie alle proprie mani; ben altra cosa è doverli impugnare daccapo, tutti quegli attrezzi, e in prima persona. Con le proprie mani, le stesse che digitano.
Gli attrezzi della pulizia domestica sono usciti dagli sgabuzzini tutti assieme, in variopinto corteo, come in una sequenza disneyana (Cinderella e relative canzoncine). Passare l’aspirapolvere, sgrassare piastrelle e acciai, pulire e lustrare le ceramiche dei cessi, spostare mobili immobili da anni, rinfrescare guardaroba, armadi, dispense, sospinti dalla nuova indole igienizzante che governa l’umanità in allerta. E a proposito di igiene anche la rete, sede dell’Impero Immateriale, ci si rivela improvvisamente come un insieme di prese polverose, tastiere lercie e display appannati da disinfettare, stratificazioni dell’unto dei nostri polpastrelli quando ancora ci si lavava le mani distrattamente, e solo ogni tanto.
Molte cose che prima sembravano un vero vezzo proustiano, o peggio una moda snob, come fare il pane in casa, seminare un orto (basta un balcone), riassumono la loro natura primaria. Sì, esiste un primario (mangiare, bere, coprirsi, scaldarsi, dormire in un letto pulito, mantenersi in salute) e tutto il resto, per quanto amato, per quanto prezioso, è secondario. Mentre si lustra e si riordina si fa l’inventario, abbastanza impressionante, delle cose inutili che ogni casa ha immagazzinato, in quantità inverosimile. E ci si rende conto che all’inventario materiale corrisponde un reset dei bisogni psicologici, delle priorità sociali, ci sono appuntamenti e persone che mancano davvero, altri che non vengono più trattenuti dal nuovo vaglio che siamo costretti a darci. Vanno via come polvere.
Costretti, ecco la chiave: nel bene e nel male. Costretti a tenere pulita la casa, costretti a ripensare cosa ci serve molto e cosa meno, costretti a sfoltire i ranghi delle necessità, costretti a riflettere su quanto c’è preziosa la vita, costretti a fermarci eppure costretti, nella sosta, a lavorare più di prima (quando mai avrei rimesso in ordine il garage, prima?), costretti a scoprire che perfino la manutenzione dell’interiorità - la casa ne fa parte, eccome - è un lavoro manuale, che il nostro benessere dipende da un ritrovato equilibrio tra il corpo in movimento e la mente che lo governa. Costretti a riscoprire che anche noi siamo un attrezzo, come la ramazza e come lo smartphone. Passare lo straccio sui pavimenti è faticoso, le giunture cigolano, la schiena duole. Il continuo contatto con acqua e sapone rende le mani secche e irritate, date retta, se vi rimane qualcosa da investire, investite nelle creme per mani, è un settore destinato a un boom storico...
Rimettere in ordine non è un’arte, nella primavera del 2020. É una necessità, e questo rimanda al vecchio e amaro pessimismo sulla natura umana, l’uomo si ferma a riflettere solo quando va a sbattere. Molte,moltissime delle cose che stiamo rivalutando chiusi in casa, e molte di quelle che adesso malediciamo,avremmo dovuto benedirle e maledirle molto prima. Ma siamo fatti così, molto cicale e poco formiche, la previdenza non è il nostro forte, il tempo l’abbiamo compresso nella manciata di giorni che camminano al passo con noi; sarà già tanto, quando il mondo ripartirà, se l’indice della saggezza collettiva sarà aumentato dell’uno percento. Comunque meglio di niente.
Nel frattempo, mentre un primo sole slavato intiepidisce un’aria, qui al Nord, ancora invernale, a casa mia sono arrivati per corriere (un grande applauso per i corrieri!) i nuovi anelli per riappendere le tente, lavate e stirate, e rammendate da mia moglie quelle che il cane, mesi fa, aveva masticato con evidente gusto. La memoria torna alle pulizie di Pasqua, alle nostre madri e nonne e donne delle pulizie dalle mani robuste (Livia, Anna, Dina, Gilda, i nomi e i volti che ricordo sono quelli dell’Italia contadina, umile e intelligente), a quelle finestre spalancate, quelle coperte stese per restituire all’aria le loro polveri non sottili.
Le case, nel loro piccolo, fanno il rumore operoso che molte fabbriche non possono più fare. Riassumono come possono il fervore del lavoro, il ticchettio delle macchine (quella per cucine ha una voce rap, le manca la parola), la programmazione di quello che si deve fare. Chi ha un giardino sa che quest’anno sarà curato e fiorito come mai prima. C’è stata una restituzione del tempo, un bonus non governativo molto provvido e spalmato con equità. Un’amico, al telefono, mi dice che una settimana di “fermate il mondo”, ogni anno, dovrebbe essere istituita ovunque, anche senza virus, senza i cortei di bare, senza lo strazio di tutte quelle morti in solitudine. Una settimana di sosta obbligatoria per tutte le persone viventi, per rammendare le tende e portare finalmente in discarica qualche oggetto cadavere, qualche deiezione del nostro passato.”
© La Repubblica - Michele Serra
Buona lettura